G. Piatti, Cosmogenesi dell’esperienza. Il campo trascendentale impersonale da Bergson e Deleuze, Mimesis 2021

RECENSIONI / Alberto Giustiniano /

DOI


Cosmogenesi dell’esperienza. Il campo trascendentale impersonale da Bergson a Deleuze è un saggio denso e, potremmo dire, scritto “alla vecchia maniera”. L’autore infatti si prende l’onere e il rischio di lavorare a cavallo tra due autori già ampiamente studiati e commentati tentando di proporre un’interpretazione originale attraverso l’analisi approfondita delle fonti e dando conto al lettore del quadro storico di riferimento nel quale i testi oggetto dello studio si sono composti, scontrati, fusi e trasfigurati a vicenda. Fino a qui niente di nuovo si potrà pensare. Bergson e Deleuze sono oggi nel panorama italiano della filosofia continentale contemporanea autori à la page dei quali si discute con nuova enfasi attraverso un numero di pubblicazioni in costante aumento. In uno spettro di argomenti che si estende dall’entomologia alla psichedelia, dall’antropocene alla critica ecologica per arrivare fino all’etnografia, sembra impossibile fare a meno di impiegarne le intuizioni, anche se spesso con esiti bizzarri. L’analisi di Piatti si tiene invece lontano da tutto ciò e si sviluppa a partire da una tematica classica che investe i due autori, li contiene e in fondo li trascende ridimensionandoli a momenti di una più ampia linea di riflessione che coinvolge l’intera storia della filosofia. La tesi che l’autore propone è di considerare le riflessioni di Bergson e Deleuze accomunate dall’esigenza di trovare un dispositivo impersonale che sia in grado di fondare geneticamente il rapporto tra la coscienza e il suo oggetto. Alla base di questa relazione, che chiamiamo esperienza, non possiamo collocare il soggetto o una sua qualche qualità agente, come il pensiero o l’intenzionalità, poiché tale strategia argomentativa non terrebbe conto del preliminare coinvolgimento di quella stessa soggettività nel fenomeno cui dovrebbe dare origine. Ne consegue qualcosa di più di un semplice ribaltamento tra i due poli, sebbene sia innegabile che l’oggetto sia sempre tale per un soggetto e che gli oggetti concorrano in qualche modo alla costituzione del loro osservatore; deve piuttosto essere concepibile un piano a partire dal quale sia l’oggetto che il soggetto risultino degli effetti. Se ciò è (di)mostrabile allora sarà possibile intuire come la genesi e l’avvicendamento tra i due poli non sia altro che il frutto della contorsione di tale piano. Saremo così in grado di ristrutturare la nostra idea di esperienza scissa tra i due estremi simmetrici e incompatibili del materialismo atomistico riduzionista e del soggettivismo idealistico spiritualista accedendo a una consapevolezza differente del suo fondamento, secondo la quale il reale procede dal cosmo al soggetto per mezzo di un processo cosmogenetico impersonale.

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