RECENSIONI / Marko Ćeranić /
Qualche anno dopo la Conferenza di Dartmouth (1956), in occasione della quale vennero gettate le basi di quell’imponente e ambizioso progetto di ricerca che porta ancora oggi il nome di Intelligenza Artificiale, Herbert Simon, che ne fu protagonista indiscusso, ebbe a dire che «le macchine saranno in grado, entro vent’anni, di realizzare qualsiasi opera che un uomo possa compiere» (H. Simon, The Shape of Automation for Men and Managment, New York: Harper and Row, 1965; trad. it. nostra). Esattamente sessant’anni dopo, Dominique Cardon, nel suo Che cosa sognano gli algoritmi. Le nostre vite al tempo dei Big Data, si assume l’onere di fare un punto della situazione: non soltanto i calcolatori non sono ancora nemmeno lontanamente equiparabili a un cervello umano sotto molti aspetti, in primis sotto quelli della creatività e della plasticità, ma spesso e volentieri falliscono nel portare a termine gli obbiettivi che vengono loro assegnati dai programmatori. Quali sono questi obbiettivi? Per chi e per quale motivo rivestono oggi un’importanza capitale? In che modo l’avvento dei Big Data ha rivoluzionato profondamente il nostro stare in società? Qual è il grado di controllo che gli algoritmi esercitano sulla nostra condotta e qual è, di rimando, il grado di libertà di cui godiamo rispetto ad essi? Queste sono solo alcune delle domande a cui Dominique Cardon tenta, nel suo testo, di dare delle risposte che possano orientare il nostro agire quotidiano rispetto a una realtà, quella degli algoritmi, che pervade il nostro quotidiano in maniera così impalpabile, e al contempo così invasiva, da restarci (quasi) del tutto sconosciuta.
