Discussione di S. Latouche, Baudrillard o la sovversione attraverso l’ironia Jaca Book 2016

DISCUSSIONI / Enrico Schirò /


Lo si confessi apertamente: vedere associati il nome ‘Jean Baudrillard’ e lo slogan ‘décroissance’  desta stupore. Cosa c’entra il pensatore della simulazione e dell’iperrealtà, della sparizione del reale e dell’elogio immorale del terrorismo, con la galassia discorsiva e sociale della decrescita serena e/o felice? Quale partage lega Jean Baudrillard a Serge Latouche? Queste sono le domande che immediatamente solleva la pubblicazione di Baudrillard ou la subversion par l’ironie (2016) all’interno della collana Les précurseurs de la Décroissance per l’editore Le Passager clandestin. Il testo, a firma del maggior teorico e sostenitore del paradigma della decrescita, nonché direttore della collana, Serge Latouche, è tradotto e pubblicato in Italia dall’editore Jaca Book, che porta avanti un progetto editoriale omonimo, tangente e parallelo, a quello francese. Ci troviamo di fronte ad una piccola consacrazione: Jean Baudrillard precursore della decrescita, parola di Serge Latouche! Il suo nome viene registrato nella collana assieme a quello di altri pensatori, che si ritiene abbiano dato – volenti o meno – un contributo di valore alla definizione del paradigma della decrescita. Fourier, Ellul, Tolstoj, Giono, Gorz, Castoriadis, Baudrillard… ecco alcuni dei protagonisti di questa avventura. L’edizione francese della collana, che inizia la sua pubblicazione nel 2013, comprende un angolo di rifrazione retrospettiva decisamente più ampio (Lao-Tzu, Diogene, Epicuro). L’edizione italiana, che segue la francese solamente di un anno, se deve ancora colmare delle lacune (attendiamo volentieri Benjamin, Weil, Mumford), in compenso offre le sue specificità locali (Pasolini, Berlinguer, Terzani). È la storia anteriore della decrescita.

 Ma cos’è la decrescita, in breve? Nata come parola d’ordine occasionale in un periodo di stagnazione del discorso ecologico e della sua efficacia politica (2001-2002), la decrescita ha un lungo percorso alle spalle, fatto di ricerche antropologiche sulle economie informali in Africa e di critiche ecologiche ed etico-politiche del paradigma economico ufficiale, in particolare del concetto di ‘sviluppo’ e di quella formazione ideologica di compromesso che sarebbe lo ‘sviluppo sostenibile’. Secondo l’analisi di Latouche il processo dello sviluppo è di per sé ecologicamente non-sostenibile e socialmente iniquo. In una prospettiva decrescente occorre decolonizzare l’immaginario dal dominio dell’economia e procedere da subito ad una fuoriuscita dal sistema capitalistico, cominciando con l’invertire il corso della crescita. La decrescita non è quindi solamente un’emergenza discorsiva interna al paradigma dell’economia o al campo delle scienze sociali. Si configura piuttosto come modello alternativo di organizzazione sociale (e conseguentemente economica) basato su di una trasvalutazione anti-utilitaristica e conseguentemente sul recupero di valori tradizionali (sobrietà, convivialità, lentezza, località) venuti a disperdersi con l’imporsi del processo di Modernità-Globalizzazione, a partire dalla riattivazione antropologica del dono inteso come elemento regolatore dei rapporti degli uomini tra loro e con la natura. In quest’ottica, sia teorica che pratica, la decrescita può essere considerata un orientamento radicale dell’ecologismo contemporaneo che recupera e organizza in programma socio-politico elementi teorici diversi, tratti da Mauss, Gorz, Illich, Ellul, ecc. Della ormai vasta bibliografia sul tema segnalo La scommessa della decrescita (2007) e Breve trattato sulla decrescita serena (2008), le due migliori introduzioni al pluriverso decrescente disponibili in italiano.

Considerare Jean Baudrillard un precursore del paradigma della décroissance può essere un’operazione problematica ma non impossibile, a parere di Latouche. Se da una parte Baudrillard risulta un pensatore inclassificabile (p.  9), impertinente (p. 54) e provocatorio nella sua vertiginosa predilezione per le ipotesi più contro-intuitive (p. 38), dall’altra la sua opera – in particolare quella sociologica – continua ad essere, ancora oggi, un punto di riferimento per qualsiasi critica  del consumo e della crescita. Su questo punto Latouche non ha dubbi e nell’affermarlo non si fa remore ad adottare il lessico e il tono pseudo-religioso che molto spesso lo contraddistinguono. «I primi cinque libri del nostro autore, un vero e proprio smontaggio della società della crescita, potrebbero, a una prima lettura, essere perfino presi per il pentateuco della decrescita» (p. 13). C’è anche una motivazione personale che spinge Latouche a includere Baudrillard sotto l’etichetta della decroissance.

Pensatore che rifiuta l’idea di oggettività, la cui curiosità indisciplinata ha spesso spinto a considerarlo come un pensatore poco serio, fastidiosamente singolare, Baudrillard promuove un posizionamento ironico e radicale in risposta alle evoluzioni della società contemporanea. Sullo sfondo della morte della realtà e, con essa, dell’illusione della verità (Gaillard, cit., p. 123) avanza piano Baudrillard, forte del suo nichilismo indifferente (S. Latouche, Le paradoxe Baudrillard: un précurseur malgré lui de la décroissance, p. 46). In tale contesto, il pensiero critico non ha più alcuna ragion d’essere: occorre trovare un altro campo, un altro modo. Ogni discorso di verità è infatti impossibile in un mondo da cui la verità stessa si è ritirata. Il pensiero va allora usato come forza di seduzione (J.P. Curnier, Baudrillard et le «Complot de l’art» (Nullité et nudité des idoles, p. 183). Resta il pensiero come possibilità, resta il giocare col mondo un gioco diverso, nuovo, con la consapevolezza del fatto che in questo gioco è il mondo stesso, non il pensiero, a tenere le redini, a definire le regole. E questo mondo guarda a noi con estrema indifferenza. Occorre sposare l’idea di una radicale estraneità del mondo, e lasciarsi giocare dal suo enigma, dalla sua ironica seduzione (Gaillard, cit., p. 120). La via per cui Baudrillard tenta di condurci è infatti quella di un nichilismo ironico e non pessimista. Una teoria ironica, lucida e ludica. Con una precisazione: non è Baudrillard a essere un nichilista, è la realtà ad esserlo, nel suo scomparire nell’iperrealtà. Ma forse, ci suggerisce Latouche nel suo saggio, per Baudrillard questa realtà non c’è mai stata davvero.

Non ci resta che il ludico, dunque. Scacco, gioco: le due dimensioni si implicano a vicenda e ci conducono là dove la riflessione ha pudore di andare. Forse, in fondo, dietro alla complicata relazione tra Baudrillard e l’accademia, afferma Caillè sulla scia di Séguret, giace il fatto che Baudrillard non può che condurci a fare i conti con la nostra impotenza politica e teorica davanti al mondo (Caillé, cit., p. 56). Qualcosa di impossibile da assimilare, per certi versi, da parte dell’impostazione accademica tradizionale.

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