Recensione a G. Agamben, Che cos’è reale? La scomparsa di Majorana, Neri Pozza 2016

RECENSIONI / Matteo Acciaresi /


Agamben-MajoranaDopo Che cos’è la filosofia? (Quodlibet, Macerata 2016), il ‘che cos’è’ agambeniano si cimenta in ambiti sinora inediti rispetto al suo pensiero. Per la prima volta, infatti, l’autore si dedica, seguendo un articolo di Ettore Majorana (Il valore delle leggi statistiche nella Fisica e nelle Scienze sociali, apparso nel 1942 in «Scientia», scritto tra il ’33 e il ’37 e accluso al testo dopo il saggio di Agamben), alla considerazione delle implicazioni filosofiche di una specifica teoria scientifica a alla Weltanschauung che essa filosoficamente sottende: quella della fisica dei quanti, unitamente al suo carattere probabilistico.

Il testo si divide in due macrosezioni: la prima, Che cos’è il reale? (pp. 5-53), consiste nel saggio di Agamben – la seconda (pp. 55-78) nel già citato articolo di Majorana. In gioco (filosoficamente in gioco) per entrambi è, potremmo dire, lo statuto del reale in quanto tale e alla luce, appunto, della svolta teoretico-scientifica impressa al sapere dalla fisica quantistica, che proprio negli anni di attività di Majorana si dispiegava in tutto il suo fervore. Non a caso insistiamo sul ‘filosoficamente’: poiché, per quanto riguarda Agamben, quanto esaminato dello e affermato sullo statuto del reale viene pienamente inquadrato e situato (ancorché non esplicitamente) nel solco delle riflessioni precedenti dell’autore. In questo senso, ma lo si vedrà, se Agamben si cimenta in un ambito nuovo rispetto a quelli, pure largamente eterogenei, da lui trattati, per nulla nuovo (sempre che qualcosa come una ‘novità’ abbia, in filosofia, qualche senso) è l’esito cui perviene. E, occorre dirlo in via preliminare e a mo’ di tesi per ora puramente enunciativa: nell’insieme dell’argomentazione agambeniana la questione della scomparsa di Majorana è, se non un mero espediente, quanto meno un elemento paradigmaticamente strumentale, una sorta di McGuffin filosofico. Del che, naturalmente, più avanti si dirà. Ma consideriamo, intanto, il breve testo di Majorana – il quale, ancorché posto dopo quello di Agamben, viene da quest’ultimo presupposto.

Esso, come suggerisce il titolo, si propone l’affermazione di una stretta «analogia formale» (p. 70) tra le leggi statistiche della fisica e delle scienze sociali, in particolare alla luce del passaggio cruciale dalla fisica classica alla fisica dei quanti – vale a dire: da una «concezione pienamente deterministica della natura», che «non lascia alcun posto alla libertà umana e obbliga a considerare come illusori, nel loro apparente finalismo, tutti i fenomeni della vita» (p. 60), a quella «spiegazione unica e meravigliosamente semplice» dei fenomeni, inesplicabili sino in fondo secondo la Meccanica classica, qual è quella «contenuta nei principii della meccanica quantistica» (p. 73), per la quale, probabilisticamente, «a) non esistono in natura leggi che esprimano una successione fatale di fenomeni: anche le leggi ultime che riguardano i fenomeni elementari (sistemi atomici) hanno carattere statistico, permettendo di stabilire soltanto la probabilità che una misura eseguita su un sistema preparato in un dato modo dia un certo risultato, e ciò qualunque siano i mezzi di cui disponiamo per determinare con la maggiore esattezza possibile lo stato iniziale del sistema» (p. 74), e nella quale, al contempo, sussiste «b) una certa mancanza di oggettività nella descrizione dei fenomeni», intendendo, con ciò, una sorta di de-fissazione, di de-stabilizzazione di un sistema, per la quale «qualunque esperienza eseguita in un sistema atomico esercita su di esso una perturbazione finita che non può essere, per ragioni di principio, eliminata o ridotta. Il risultato di qualunque misura sembra perciò riguardare piuttosto lo stato in cui il sistema viene portato nel corso dell’esperimento stesso che non quello inconoscibile in cui si trovava prima di essere perturbato. Questo aspetto della meccanica quantistica è senza dubbio più inquietante, cioè più lontano dalle nostre intuizioni ordinarie, che non la semplice mancanza di determinismo» (p. 75, corsivo mio) implicata dal punto a. Solo lo stato hic et nunc, come considerato a partire dall’istante dell’esperimento stesso, e non già in quanto fissato o ricostruito precedentemente rispetto ad esso, consente la sua giustificazione probabilistica: la stabilità della ricostruzione entra in ineludibile difetto.

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