Recensione a I. Pelgreffi, La scrittura dell’autos. Derrida e l’autobiografia, Galaad Edizioni 2015

RECENSIONI / Marco Maurizi /


Pelgreffi-La-Scrittura-dell-Autos

È noto come la fortuna di Derrida nel mondo anglosassone sia cominciata nei dipartimenti di Letteratura e come il filosofo franco-algerino abbia conseguentemente faticato a farsi accettare come pensatore di rilievo nell’ambito ristretto della filosofia accademica. Troppo ‘letteraria’, troppo idiosincratica quella prosa per poter ammettere che essa potesse avere qualcosa di serio da dire nella sfera del concetto. Seppure la fortuna accademica di Derrida abbia successivamente smentito quella tesi perentoria, uno dei non piccoli meriti del saggio di Igor Pelgreffi è quello di mostrare filosoficamente quanto essa poggiasse su falsi presupposti. Quanto, cioè, non solo l’opposizione tra filosofico e letterario è filosoficamente insostenibile, ma addirittura quanto la dimensione letteraria, nella sua forma apparentemente più distante dal concetto, finisca per metterne in questione l’autonomia sovrana collocandosi nel centro della problematica filosofica stessa (p. 31). La scrittura dell’autos, infatti, affronta in modo avvincente il tema dell’autobiografia nel pensiero di Derrida mostrandone tutta la valenza teoretica.

In realtà quest’opposizione – se si vuole, questa aporia – giace nel fondo stesso del pensiero occidentale, a partire dal produttivo contrasto tra mythos e logos fino all’anatema husserliano ‘qui non si raccontano storie!’ che doveva sottrarre il tema della genesi delle strutture di senso allo scorrere del tempo e dell’esperienza empirici. L’idea che sussista una relazione oppositiva, se non un’inimicizia almeno un problematico rapporto, tra il biografico e teoretico è dunque nodo che attraversa alcuni dei luoghi fondamentali della storia della filosofia. La ricerca di Igor Pelgreffi prende così di mira la riflessione autobiografica di Derrida per mettere a fuoco il rapporto tra vita e scrittura, intendendo quest’ultimo termine a partire dalla torsione radicale ad esso impressa nel pensiero derridiano. Il pensiero di Derrida esplora la possibilità inscindibilmente esistenziale e teorica di raccontare qualcosa che assomiglierebbe alla verità del bios, nel senso di un ‘rendere ragione’ di esso. A tale fine, scrive Pelgreffi, è necessario determinare e mettere in pratica strategie, percorsi di ripensamento e di smarcamento che costitutivamente eludano o facciano saltare alcuni dei presupposti secolari della filosofia; seppure questo compito, secondo l’autore, «resterà uno dei nodi irrisolti della riflessione di Derrida» (p. 154).

La lettura operata da Pelgreffi è avvincente e convincente perché segue le tracce del tema auto-biografico nel corpus delle opere derridiane, senza rinunciare ad un fruttuoso confronto con altri pensatori direttamente o indirettamente implicati nel crocevia di domande radicali poste da Derrida (da Merleau-Ponty a Nancy, da Sloterdijk a Žižek, solo per citarne alcuni): ne risulta non solo un arricchimento della prospettiva ermeneutica dell’autore in oggetto, ma la messa a punto di un dispositivo teorico in grado di porre l’autobiografico al centro di una riconsiderazione del senso stesso del fare-filosofia (laddove questo stesso ‘centro’, come vedremo, affrontando la questione dell’autos risulta imprendibile, decentrato rispetto a se stesso). Scrivere della o sulla o la propria ‘vita’ implica infatti una serie di contraddizioni e aporie su cui Derrida ha lavorato a lungo e costantemente ed è con grande maestria che Pelgreffi riesce ad inseguire questo filo rosso della riflessione derridiana attraverso opere di tenore diverso (maggiori, minori, interviste e scritti d’occasione) riuscendo a offrirne una sintesi convincente che, se da un lato non rinuncia a una rigorosa traduzione nel linguaggio derridiano, dall’altro ne fornisce una interpretazione originale. Fin dalle prime pagine, nel capitolo L’autobiografia come problema (pp. 11-54), Pelgreffi affronta il meccanismo teorico che è nascosto dietro le pieghe dell’atto di scrivere di sé o su di sé, gesto che appare subito di fatto indistinguibile da quello di scrivere (pp. 29 e sgg.). Questa indecidibilità dell’autobiografico si manifesta non appena si scavi al di sotto della sua apparente ovvietà. L’atto stesso con cui si inizia o conclude un’autobiografia sembra infatti alludere ad una cesura che si produce nel flusso temporale della propria esistenza; quasi che il gesto sovrano con cui si decide di scrivere su di sé debba sintetizzare o capitalizzare quel tempo trascorso per ricondurlo ad una qualche forma di unità retroattiva, o piuttosto assorbirlo in un presente che sarebbe il suo punto culminante per lanciarlo oltre la sfera della presenza verso una posterità propria o altrui idealmente sottratta alla caducità e alla morte. Come se quel presente occhio da cui emerge e in cui si valorizza il passato potesse essere a disposizione di quella presenza senza per ciò stesso invece trovarvi la propria fine, dunque anche la propria morte in quanto esperienza ‘vissuta’…

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