Recensione a P. Sequeri, Il sensibile e l’inatteso. Lezioni di estetica teologica, Queriniana 2016

RECENSIONI / Luca Pellarin /


Sequeri-Inatteso-RecensioneIl compianto M. P. Gallagher SJ (1939-2015), cui Il sensibile e l’inatteso [d’ora in poi SI] è dedicato, oltre a ribadire più volte come l’amico P. Sequeri fosse il più grande teologo italiano vivente, parlava di lui come d’un «gigante», d’un «colosso» il cui pensiero rappresenta «un primo passo verso la guarigione» dalla «dimenticanza» e dall’«impoverimento» della bellezza della fede (Mappe della fede. Dieci grandi esploratori cristiani, Vita e Pensiero 2011). È a tale ultima esigenza che risponde questo ponderoso volume.

L’inizio è icastico:

Uno degli elementi più interessanti, in certo modo anche curiosi, dell’evoluzione filosofica recente è proprio una corposa virata della “filosofia prima” verso l’estetica. In altri termini, le classiche questioni radicali della teoria della conoscenza e dell’ontologia fondamentale, vengono ora diffusamente “trasferite” nel dominio dell’estetica: e “ritrattate” in riferimento alle categorie che essa ha tramandato (p. 11).

Una tesi radicale eppure immediata. Essa s’inserisce in un filone abbastanza esteso secondo il quale fino a poco tempo fa l’estetica, per utilizzare l’espressione di un ‘canonico minore’, non aveva prodotto che alcune rade fiacche ‘glosse a Platone’ (con le necessarie eccezioni). Il quadro però si complica: Sequeri racconta infatti di una disciplina che in anni relativamente prossimi si è vista costretta a uscire allo scoperto per farsi carico di problemi sociali scottanti e inevasi, quegli stessi descritti da Adorno e Horkheimer in Dialettica dell’Illuminismo (1944/1947), autori dei quali Sequeri condivide patentemente le conclusioni. All’estetica è così toccato fronteggiare la crisi del cosiddetto «platonismo religioso, che coltiva l’ideale della bellezza trascendente come evasione dalla finitezza e dalla precarietà del mondo dato»; una crisi del resto parallela alla «frustrazione» del suo alter ego: quell’«aristotelismo laico» perennemente contraddistinto da un cieco «ottimismo della ragione» (p. 23). Tuttavia, nella fretta di un improbo compito, essa non ha saputo assumersi la responsabilità di quanto oggigiorno, dopo decenni di ‘delitti perfetti’, ha il dovere di far proprio senza (ulteriori) proroghe (e deleghe): un’‘etica dell’immagine’ (sorretta da un’ ‘epistemologia dell’immaginale’). Questa locuzione, usata da F. Vercellone in un recentissimo, discutibile, studio (Il futuro dell’immagine, Il Mulino 2017), riecheggia l’ormai familiare formula ‘come deve essere l’essere per essere come deve’ (‘il trascendentale del senso’), alla quale Sequeri inneggia nel tentativo di aitare l’estetica in siffatta, nobile, impresa. Uno sforzo che semmai efficace potrebbe proporsi come il corrispettivo teoretico dell’eccellente storia dell’arte sacra ricostruita da F. Boespflug nel 2008 (Le immagini di Dio. Una storia dell’Eterno nell’arte, Einaudi 2012).

Se l’idea de Il Dio affidabile (Queriniana 1996), semplificando, era che il pensiero cristiano contemporaneo, pur dotatosi di un’etica, di un’estetica e di una spiritualità dell’agape cristiano (amore di Dio, giustizia di Dio), mancasse di un’ontologia dell’affezione (un ‘ordine degli affetti’) che gli permettesse di oltrepassare il dualismo cartesiano (compresa la logica dell’alterità Io-Tu), SI, sul solco del progetto di ‘estetica teologica’ di Balthasar (Gloria, 1961-1969), sebbene emendato da un troppo facile abbandono al sempreverde annuncio di una «deriva epocale» (p. 61), vuole invece tracciare il profilo di una «fenomenologia dello spirito sensibile» (p. 54). Il risultato di vent’anni di ricerca, già riposto in verità tra le pieghe dell’opus magnum del 1996, può essere così riassunto: quest’ontologia dell’affezione da erigere, quest’ordine degli affetti da definire, coincide con un’estetica teologica della metafora, la quale, per il medium dell’immaginazione, non potrà che mostrarsi capace di congiungere il minimalismo segnico del sacramentum al massimalismo della potenza della Rivelazione. Un percorso che si innesta sul cammino battuto quasi parimenti da E. Cerasi ne Il mito nel cristianesimo. Per una fondazione metaforica della teologia (Città Nuova 2011): trasporre metaforicamente i miti delle Sacre Scritture affinché possano tradere (trasmettere e tradire) il κήρυγμα.

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