RECENSIONI / Alberto Fabris /
Problema già molto dibattuto dalla storiografia, la profezia agli albori dell’età moderna è stata negli ultimi anni oggetto di ampi ed approfonditi studi (solo a titolo di esempio si vedano i tre volumi di L. Laboire e A. Hessayon, Early Modern Prophecies in Transnational, National and Regional Contexts, Brill 2021). La recente raccolta di saggi curata da G. Frilli e M. Lodone si inserisce quindi nel quadro di un dibattito molto vivace, e lo fa da una prospettiva fortemente innovativa ed interessante non solo per la storiografia filosofica ma anche per la storia intellettuale e la storia del pensiero politico della prima modernità.
Come i curatori mettono subito in evidenza, «il termine [profezia] copre uno spettro di significati talmente ampio da rendere probabilmente impossibile una definizione semplice e univoca» (p. 5). Di fronte all’impossibilità di una sintesi esaustiva, sistematica o con pretese di canonicità, gli autori propongono invece una serie di ‘carotaggi’ finalizzati a mostrare la critica (al contempo epistemologica e teologico-politica) operata rispettivamente da Pomponazzi, Machiavelli, Campanella, Hobbes, Spinoza, Bayle e Vico. Il risultato è uno sguardo sulla profezia – come linguaggio, strumento di conoscenza e azione sul mondo – che mobilita il concetto studiato come prisma (dinamico, mutevole, polisemantico) sui differenti contesti presi in esame. Non quindi una «disincarnata» storia delle idee (p. 6) che si limiti a tracciare le differenti accezioni del termine nei vari contesti da esso attraversati, insensibile agli iati e alle cesure messi in rilievo dalla tradizione della storia concettuale. Al contrario, indagando la critica del fenomeno profetico operata dagli autori presi in esame, i vari saggi invitano il lettore da un lato, a cogliere la sostanziale equivocità e polisemia del termine; dall’altro, a soffermarsi sull’intrinseco carattere pratico e performativo del discorso profetico come punto di osservazione privilegiato