RECENSIONI / Viviana Faschi /
Che cosa succede nello studio di uno psicoanalista? Cosa significa pensare? Cosa fa la filosofia? Domande nei confronti delle quali si sono indubbiamente dette e scritte molte cose, forse mai dal punto di vista della loro declinazione materica, la quale potrebbe rivelarsi densa di sorprese. Che cosa accadrebbe se si estromettesse l’intimità dalla relazione analitica, se si sradicasse il continuum tra l’atto del pensiero e il suo prodotto, se si smettesse di guardare alla filosofia come ad una sottile ricerca genealogica intessuta di fili di causalità? Teleplastia, ultimo lavoro di Silvia Vizzardelli (Orthotes, 2021), prova a rispondere a tutte queste domande mettendo in scena un teatro teoretico il cui attore principale è il prefisso tele-: distanza. Prefisso tanto caro al mondo psi: da telepatia (letteralmente sentire a distanza, ma declinato poi in pensare a distanza), a telecinesi (muovere a distanza), fino appunto al teleplastia che dà il titolo al volume (termine coniato dal medico e psichiatra forense Albert von Schrenck-Notzing) e che indica propriamente l’attività del “plasmare forme a distanza”; quanto alleato di quello tecnologico: dal telescopio alla televisione, entrambi strumenti aventi a che fare con l’azione del vedere, dell’indagare, dello scrutare a distanza (oppure, come ricorda l’autrice evocando una scena infantile, “vedersi comparire in soggiorno esseri indesiderati attraverso uno schermo”).
Questo “apparentemente inoffensivo” (p. 6) prefisso tele non parla solo di distanze e lontananze, ma anche, paradossalmente, di vicinanze: sì, vicinanze, a patto che si metta da parte ogni auspicato sistema di ponti, connessioni, causazioni, e si lasci vedere solo il balzo, l’intervallo, lo stacco.