DISCUSSIONI / Alessandra Campo
Quando un testo ha un titolo vettoriale bisogna guardarvi come a un testo-manifesto, a un testo-invito. Tale è il caso del saggio del 1932 di Jean Wahl, Vers le concret, tradotto in italiano per la prima volta da Giulio Piatti e ospitato nella collana di Mimesis, diretta da Rocco Ronchi, Canone minore. ‘Verso’, infatti, indica un moto a luogo, una transizione. ‘Verso’ fa segno a una direzione che occorre imboccare. E qual è questa direzione? Qual è il verso cui il ‘verso’ allude? Lo esplicita immediatamente l’aggettivo-verbo-sostantivo che segue: il concreto. Che sia un aggettivo lo si evince facilmente. È concreto ciò che non è astratto. Meno istantanea, invece, è l’intelligenza della sua forma verbale e sostantivale. Nei riguardi della prima, però, l’indicazione decisiva ci giunge da Alfred North Whitehead, uno dei tre autori che, secondo Wahl, ha intrapreso la transizione in oggetto. Concreto, per il ‘latinista’ Whitehead, è il participio passato del verbo ‘concrescere’ – composto da ‘con’, insieme, e ‘crescere’, aumentare –; un participio come una crasi o un’abbreviazione: concresciuto sarebbe la forma corretta, concreto è la forma prediletta, e non solo dal filosofo-matematico di Ramsgate. Con riferimento alla seconda, viceversa, è l’intero lavoro di Wahl a funzionare come explicans: il concreto è ciò verso cui la filosofia deve procedere, la dimensione in cui il pensiero speculativo deve installarsi. È al concreto, in breve, che lo sguardo deve rivolgersi e ‘concreto’, per Wahl e i suoi interlocutori, vuol dire ‘sentito’.