RECENSIONI / Giulio Piatti /
Ventunesimo volume uscito per la collana Eredi, diretta da Massimo Recalcati per Feltrinelli, Henri Bergson. Segni di Vita di Federico Leoni (2021) ne incarna perfettamente lo spirito: non si tratta, infatti, di un saggio monografico sul celeberrimo filosofo francese – ormai da qualche anno nuovamente al centro del dibattito filosofico dopo un lungo oblio novecentesco – quanto di una personale meditazione che l’autore imbastisce sui sentieri del suo pensiero: Leoni agisce esplicitamente da ‘erede’, provando a prolungare in ciascun capitolo del testo alcuni concetti-chiave all’interno di cornici riflessive più ampie, e producendo così una lettura assolutamente peculiare dell’opera di Bergson.
Il testo sembra apparentemente capovolgere l’immagine che gli ultimi vent’anni di storiografia filosofica ci hanno restituito del bergsonismo, volta ad allontanarlo da quel milieu spiritualista in cui era finito per essere relegato a partire dalla seconda metà del Novecento, e conseguentemente a ridefinirlo, con Deleuze, alla luce delle nozioni di processo, vita e differenza. Bergson – dice Leoni – è un pensatore indubitabilmente spiritualista (p. 66; p. 187), se per «spirito» intendiamo quel dispositivo che presiede al passaggio dal torpore ‘intenso’ del reale alla sua estroflessione in senso quantitativo (p. 21). Spirito è il mouvant, quel «movimento-cosa» (p. 141) interno all’universo che vediamo agire, a scale diverse, nelle più importanti pagine della metafisica bergsoniana, dalla cosmogenesi per immagini presente in Materia e memoria al principio di differenziazione biologica che presiede all’Evoluzione creatrice, sino alle meditazioni sulla tecnica e la mistica presenti nelle Due fonti della morale e della religione. Ovunque ritroviamo uno spirito, un «soffio» (p. 52) immanente, che non si situa mai al di fuori del reale che informa, che non smette cioè neanche per un istante di tallonare i propri prodotti, rendendoli ciò che sono.