RECENSIONI / Carlo Salzani /
Il caleidoscopio postumanista si compone di svariate posizioni assai spesso in violenta polemica tra loro, e questa eterogeneità bellicosa costituisce senza dubbio uno dei ‘limiti’ del suo progetto filosofico. Il saggio di Marchesini si propone di fare luce sull’incongruenza – la «zona d’ombra» (p. 8) – che sta alla base di questo limite e che azzoppa gran parte del dibattito contemporaneo, e cioè la resilienza della cornice umanistica in molti progetti che pretendono di sospendere e superare l’antropocentrismo e l’umanismo. Il fulcro della prospettiva di Marchesini è la problematica dell’alterità, e in particolar modo dell’alterità animale, per cui la cornice umanista è più specificamente individuata nello ‘specismo’ che ancora informa per l’autore gran parte delle proposte della galassia postumanista. Non mancano riferimenti al transumanismo, all’iperumanismo e al neoumanismo, ma il referente principale è il dibattito animalista o antispecista.
E tuttavia il titolo è in un certo senso ingannevole, perché il saggio non si addentra nel litigioso dibattito sui diritti animali e non propone una disanima critica delle diverse posizioni etico-filosofiche; in realtà la questione dei diritti animali è toccata solo in modo tangenziale e rimane subordinata a un discorso molto più ampio (e filosoficamente più interessante) sulla difficoltà e riluttanza della filosofia (anche di quella animalista e antispecista) ad abbandonare il millenario paradigma umanista che l’accompagna fin dalla nascita. Marchesini non si abbandona a sterili polemiche (tanto comuni nell’agorà animalista), anzi, ribadisce a più riprese che «le diverse posizioni in realtà [sono] ciascuna portatrice di un dettato di verità» e che «ogni posizione [mantiene] una specifica utilità sia per comprendere il fenomeno sia per individuare delle strategie» (p. 8); non sminuisce quindi l’importanza storica e filosofica del cammino percorso negli ultimi quarant’anni dalle tante forme di animalismo e antispecismo che si sono via via sviluppate. E tuttavia, per poter ambire a un minimo di coerenza produttiva (per quanto «assumere una posizione etica significa sempre condannarsi all’incoerenza», p. 71) è necessario fare chiarezza sui fondamenti (in certo modo ‘metafisici’) della proposta antispecista, per evitare che l’intero edificio etico-filosofico sprofondi nelle sabbie dell’incoerenza. Per questo «non basta fermarsi sull’etica, per quanto importante, occorre prima di tutto ripensare il modo di leggere l’umano» (p. 159).
È questo che Marchesini propone in questo saggio: fare un passo indietro e stanare le incongruenze e incoerenze del paradigma culturale – ancora pienamente umanista – che sta alla base di tanto pensiero che si propone come postumanista. E questo si traduce innanzitutto in una critica serrata del paradigma umanistico, che sola può porre le basi di una coerente e produttiva proposta postumanista. Questo paradigma si fonda su due pilastri concettuali che a prima vista sembrerebbero coincidere, ma che in realtà, per quanto legati da rapporti causali o correlativi, non si sovrappongono interamente, e che quindi vengono esaminati separatamente: l’antropocentrismo e lo specismo.
Cominciando con una breve storia delle critiche allo specismo a partire dal conio del termine nel 1971, Marchesini individua i limiti delle proposte antispeciste degli ultimi decenni novecenteschi nella loro rigida cornice analitica, che da un lato stempera la peculiarità della questione animale nel mare magno delle generali problematiche di discriminazione (accomunandolo al razzismo, al sessismo, ecc.), e dall’altro confina la proposta etica a un’etica individuale e a una moralità astensionista basata sul «non fare», che spesso scade in forme (tanto note) di settarismo e neocatarismo. Questa cornice non riesce a divincolarsi dal paradigma umanista in quanto si fonda sull’universalità (assolutamente antropomorfa e antropocentrica) di criteri che pretende di applicare a tutti i viventi, come l’interesse e il principio del dolore (Peter Singer) o la soggettività (Tom Regan): soffermandosi su ciò che accomuna e privilegiando i caratteri condivisi questa cornice conferma l’idea umanista dell’essere umano come ‘misura’. Questo punto riemerge in vari momenti della trattazione per sottolineare come tante proposte intenzionalmente postumaniste – dai diritti animali all’ecologismo della preservazione – concentrandosi sulle conseguenze dello specismo umanista e non sui suoi fondamenti, si condannino all’incoerenza e alla contraddizione.
La questione dev’essere quindi spostata su un più ampio piano ontologico e la critica deve proporsi chiaramente come una «cesura» (p. 21) con l’intero paradigma umanista occidentale, perché lo specismo, prima che un sistema di discriminazione del non umano, è il modo tramite il quale l’umano definisce se stesso, e si fonda sulla negazione del carattere di alterità del non umano. Contro questa negazione, che va dall’animale macchina di Cartesio alla totale estraneità animale di Thomas Nagel, la proposta postumanista di Marchesini cerca di «atterrare nell’alterità assumendo la differenza senza cadere nell’estraneità», dove la differenza si accompagna alla vicinanza in una dimensione condivisa in cui il non umano diventa un «incontro», un «altro-con-me» (p. 41)…