RECENSIONI / Giacomo Gambaro
Negli ultimi anni, la filosofia di Schelling sembra significativamente imporsi in virtù della ricchezza e complessità di temi, problemi e istanze che da decenni generazioni diverse di studiosi/e hanno contribuito in modo determinante a restituire in termini non riduttivi né condizionati da impostazioni storiografiche ed ermeneutiche improprie e fuorvianti. Ad un primo sguardo, infatti, della triade “Fichte – Schelling – Hegel”, con cui solitamente (e in modo affatto inadeguato) si tende a racchiudere la straordinaria stagione speculativa del cosiddetto “idealismo tedesco”, proprio il filosofo di Leonberg assumerebbe oggi un posto di rilievo. L’insistenza con cui, fin dall’inizio della propria elaborazione, Schelling ha approfondito il rapporto nient’affatto lineare tra spirito e natura, lo stesso rapporto che (pur in modalità e secondo declinazioni differenti) attraversa finanche la sua tarda riflessione, basterebbe a motivare la “riscoperta” contemporanea di quella “filosofia in divenire” che Xavier Tilliette ravvisava nel percorso di Schelling (X. Tilliette, Schelling. Une philosophie en devenir, Parigi 1992).
Tuttavia, una simile valutazione incentrata sul criterio dell’attualità (o dell’inattualità) di un indirizzo speculativo non può che risultare, oltre che estrinseca, anche riduttiva se riferita al lavoro decennale con cui gli/le interpreti hanno promosso l’indagine intorno all’opera di un filosofo.